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Cure transfrontaliere: tra pessimisti e ottimisti si gioca la sfida della prima pietra miliare di un sistema sanitario europeo


Il principale motivo alla base del Trattato della Comunità Europea, che origina dalla sottoscrizione del Libro Bianco nel 1957 a Roma, è l'integrazione dei singoli mercati degli SM dell'UE. L'integrazione dei mercati nazionali in un Unico mercato arreca benefici in termini di prezzo e di qualità per via della competitività che si innesca tra fornitori in un più ampio mercato, quello europeo. Come per le merci (e successivamente per persone e capitali), anche prima del 1957 il commercio interstatale era possibile, ma subiva numerosi vincoli e restrizioni, e la commercializzazione tra Italia e Germania, per esempio, era molto più «costosa» e complicata rispetto a una situazione di libero scambio introdotta con la libertà di circolazione delle merci.
Le 4 libertà di circolazione nel Mercato Unico dell'Unione Europea riguardano: merci, persone, capitali e servizi. Si è cominciato dal libero scambio di merci con la Riconoscenza Reciproca dei prodotti (mutual recognition) per poi arrivare alle persone, ai capitali e infine ai servizi. La libera circolazione dei Servizi è l'ultima ad essere stata trattata e ancora non adeguatamente affrontata, soprattutto per la particolarità e varietà dei servizi e loro implicazioni, come i servizi sanitari.
I sistemi sanitari, trattando un tema altamente delicato come la Salute dei Cittadini, rimangono ancora di forte competenza nazionale, nonostante il processo di integrazione dell'Ue. Questa è una contraddizione dal momento che il Welfare State è un sistema che identifica – con diverse gradazioni – tutti gli stati membri dell'Ue. Il modello di welfare, e dunque anche le modalità di erogazione dei servizi sanitari, ha un impatto diretto e consistente sul sistema economico e sul bilancio dei singoli Stati. Uniformare i modelli significa vincolare i singoli governi a impegni finanziari consistenti.
Nonostante ciò l'integrazione anche dei sistemi sanitari, se adeguatamente governata, può portare i benefici in termini di qualità dell'assistenza e dei prezzi. Proposta della Commissione del 2008 basata su una serie di decisioni della Corte Europea di Giustizia che stabilivano il diritto dei pazienti a ricevere Assistenza Sanitaria in un altro Paese dello Spazio Economico Europeo (Ue-27 + Norvegia, Islanda e Liechtenstein).
La Direttiva rappresenta il primo esempio concreto di legislazione comunitaria che riguarda l'area dell'assistenza sanitaria, di tradizionale competenza degli Stati membri. La Direttiva 2011/24/UE è stata recepita in Italia con D.lgs. 28 febbraio 2014 mira ad eliminare l'incertezza circa le regole di rimborso e natura dell'assistenza erogabile in un altro sistema sanitario
Chi ne beneficia: i cittadini di Paesi confinanti o che vivono in piccoli centri sprovvisti di strutture complesse; chi necessita un trattamento urgente potrà consultare un medico di un altro paese, anche quei pazienti che debbono usufruire di servizi per cui sono previsti lunghi tempi d'attesa non possono vedersi rifiutare il diritto di viaggiare; i pazienti hanno diritto a ricevere i farmaci e dispositivi medici prescritti e immessi in commercio nello Stato membro di trattamento nel loro Stato di affiliazione ed hanno anche il diritto al follow up terapeutico nel proprio Paese.
A garanzia della continuità terapeutica la Direttiva prevede una cornice giuridica per la definizione di un set comune di indicatori di qualità dell'offerta nei diversi Stati membri.
Gli obiettivi principali di questa cornice consistono nel chiarire i diritti dei pazienti relativamente al loro accesso all'assistenza sanitaria transfrontaliera e al loro rimborso; garantire la qualità e la sicurezza delle prestazioni di assistenza sanitaria fornite in un altro Stato dell'UE; promuovere la cooperazione in materia di assistenza sanitaria tra gli Stati membri.
Di fatto, il recepimento della Direttiva 24/11 nel nostro ordinamento giuridico, tende a togliere, sostanzialmente, l'autorizzazione preventiva per le cure all'estero. Ma il recepimento della direttiva con le leggi nazionali, inclusa l'italia, sta limitando fortemente la portata innovativa. Infatti, le limitazioni della direttiva sono numerose e vanno dal mantenimento della richiesta ed autorizzazione preventiva alle cure (come di fatto succede tutt'ora), a un diniego di cure di default, come per i Servizi nel settore dell'assistenza di lunga durata; Programmi pubblici di vaccinazione; Trapianti d'organo.
Lo Stato membro di cura (nel cui territorio viene effettivamente prestata l'assistenza sanitaria transfrontaliera) ha questi compiti:
• Organizza e fornisce l'assistenza sanitaria, assicurandosi che siano rispettate le norme di qualità e di sicurezza al momento della prestazione dell'assistenza, in particolare attraverso l'adozione di meccanismi di controllo;
• Garantisce altresì il rispetto della tutela dei dati personali e della parità di trattamento dei pazienti di altri Stati membri.
• Il punto di contatto nazionale dello Stato membro di cura fornisce le informazioni necessarie ai pazienti (strutture e centri di assistenza, modalità e tipologia di rimborso dell'assistenza; procedure di ricorso a tutela dell'assistito)

Lo Stato membro di affiliazione (Stato membro nel quale il paziente è persona assicurata), ha il compito di assicurarsi che i costi sostenuti da una persona assicurata che si è avvalsa dell'assistenza sanitaria transfrontaliera siano rimborsati, purché detta persona abbia diritto a quel tipo di prestazione.
Per quanato riguarda i rimborsi, l'importo dovrebbe equivalere all'importo che sarebbe stato rimborsato dal sistema obbligatorio di sicurezza sociale, se l'assistenza sanitaria fosse stata erogata sul suo territorio. L'importo non deve tuttavia superare il costo effettivo dell'assistenza sanitaria ricevuta. Lo Stato membro di affiliazione ha la possibilità di rimborsare altri costi afferenti, come le spese di alloggio o di viaggio.
In generale, stando al decreto legislativo di attuazione del DPCM del 3 dicembre, che di fatto recepisce la Direttiva, il rimborso dei costi di assistenza sanitaria transfrontaliera è sottoposto ad autorizzazione preventiva esclusivamente per i seguenti casi:
•Assistenza soggetta ad esigenze di pianificazione riguardanti l'obiettivo da assicurare (il più ampio possibile) ma anche di garantire il controllo dei costi ed evitare gli sprechi
• Assistenza che comporta il ricovero del paziente almeno per una notte
• L'assistenza richiede utilizzo apparecchiatura costosa,
• L'assistenza comporta un rischio particolare per il paziente
• Condizioni di sicurezza del prestatore di assistenza
• Malattia rara
L'autorizzazione preventiva non può essere rifiutata quando l'assistenza sanitaria in questione non può essere prestata sul territorio nazionale entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico al momento in cui la richiesta è stata inoltrata o rinnovata. Guardando alle tipologie di servizi per cui – di fatto – anche dopo l'entrata in vigore della direttiva, sarà comunque necessario chiedere autorizzazione preventiva, vediamo che anche all'interno delle cure transfrontaliere, è penalizzata l'innovazione delle cure, ossia la capacità di creare un automatismo di accesso da parte dei pazienti a cure innovative in altri paesi europei, per via della impossibilità a reperire tale assistenza sul proprio territorio.
Questo aspetto depotenzia molto la portata innovativa originaria della direttiva, perché lascia un meccanismo automatico di mobilità dei pazienti (ossia sena autorizzazione preventiva) solo a servizi marginali. Inoltre, i parametri guida che permettono allo stato di richiedere una autorizzazione preventiva dei servizi richiesti all'estero sono come delle maglie molto strette che praticamente fanno ricadere quasi tutte le tipologie di servizio sotto vincolo di autorizzazione preventiva.
Un aspetto importante e preoccupante, riguarda il fatto che in Italia le regioni e autonomie locali mantengono una sostanziale discrezionalità nel decidere se rimborsare o meno i costi di vitto e alloggio all'estero, ma mantengono al tempo stesso anche una vera e propria autonomia nel decidere quali tipologie di prestazioni rimangono fuori dall'automatismo di richiesta del rimborso, per cui si dovrà chiedere – come succede tutt'ora – autorizzazione preventiva, e mantengono ovviamente discrezionalità anche nel merito dell'autorizzazione stessa.

Dalla data di pubblicazione del Decreto legislativo il nuovo Governo avrà tempo 60 giorni per emanare i regolamenti necessari a dare sostanza a quest'architettura. In base al Decreto, "il Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, previa intesa in Conferenza Stato-Regioni può adottare misure limitative dell'accesso alle cure in Italia ove ricorrano le condizioni richiamate dalla direttiva UE, che attengono all'insorgenza di motivi imperativi di interesse generale, quali" – tra l'altro – "la volontà di garantire un controllo dei costi ed evitare sprechi di risorse finanziarie, tecniche e umane". Dal momento che le spese sostenute dai cittadini che sceglieranno di curarsi all'estero saranno rimborsate sulla base delle tariffe regionali vigenti, crea ambiguità la possibilità da parte dei due Ministeri, di limitare pur in casi eccezionali, i rimborsi. Ci si augura quindi che nell'immediato futuro quest'ambiguità resti solo formale e non divenga – col permanere di una situazione finanziaria debole e instabile – una discriminante che rischia di limitare la libertà di scelta e di cura per i pazienti italiani.
A fronte di una direttiva di fatto depotenziata dai vincoli posti dalle leggi di recepimento nei singoli stati membri dell'Unione Europea, si sfidano nell'applicazione di queste condizioni, ottimisti e pessimisti, ossia chi crede nella possibilità che la mobilità sanitaria intraeuropea possa migliorare l'accesso alle cure e anche dare una occasione chiara alle strutture sanitarie di competere e migliorare le proprie prestazioni, e chi crede che questo beneficio non ci sarà o ha paura di migrazioni che portano i pazienti italiani a chiedere servizi all'estero e pazienti provenienti da stati poveri, e incapaci poi a "pagare il conto all'Italia" che affolleranno le nostre strutture inefficienti, che potrebbero aumentare il nostro debito pubblico peggiorando il servizio per tutti con maggiori file di attesa e disservizi.

A nostro avviso, la sfida si gioca sulla "volontà" di cambiare, e di agire affinché l'organizzazione e la gestione del servizio di assistenza al paziente migrante sia efficace e trasparente. Ad oggi il Contact Point Nazionale Italiano, situato presso il ministero della salute, non è ancora attivo. E' stato individuato il dirigente responsabile ma non opera come da richeista del Decreto Legislativo. Si avranno 60 giorni per renderlo operativo e avviare il servizio, in ritardo rispetto ad altri Paesi europei che lo hanno reso attivo già da fine Ottobre 2013. In tutti i modi, non preoccupa il ritardo, ma le vera volontà di rendere il servizio operativo per assistere gli Italiani che vorranno emigrare e chiedere servizi in strutture estere e cittadini europei non italiani che vorranno farsi curare in Italia.
Solo se si coglie questa possibilità come opportunità per le strutture del nostro sistema sanitario e per i nostri pazienti, la direttiva avrà un impatto positivo e tangibile, altrimenti sarà una ennesima anestetizzazione di una normativa di grande innovazione. Speriamo che vinceranno gli ottimisti.